Parliament, Funkadelic, Parliament-Funkadelic, P-Funk. Questi straordinari musicisti hanno in comune un nome: quello di George Clinton, soprannominato il “primo ministro del Funk”, fondatore negli anni 50 del gruppo dei Parliament (che si rifaceva al Doo-Wop di quegli anni) e successivamente nel 1968 fondatore dei Funkadelic gruppo di supporto al primo. Debuttano nel 1970 con l’album omonimo alternando musicisti e continuando a contaminare la loro musica con il rock psichedelico degli anni ’60/‘70
Nel ’73 presso la United Sound di Detroit e il Manta Studio di Toronto, la band registra COSMIC SLOP di seguito recensito. Questo anno segna anche una formazione più stabile rispetto al passato.
Con questo disco vediamo un lato per così dire meno “libero” rispetto ad altri album precedenti, ma sicuramente con combinazioni ritmiche e melodiche più sofisticate che hanno portato la band a livelli altissimi. Successivamente questo collettivo di musicisti che gravitano attorno a George Clinton, prese il nome di Parliament-Funkadelic o P-Funk. Questo termine indica anche il Funk Psichedelico inventato proprio dalla band, che prende spunto dalle voci Doo Wop, dal Soul e dal rock di Hendrix.
Cosmic Slop: studio, Anno 1973, WestBound Records SEWA 035.
L’album prende forma con Nappy Dugout; si capisce subito di essere di fronte a qualcosa di nuovo nel sound della band. Il groove (ricorda un po’ quelli estenuanti dei Meters) costante assorbe l’ascoltatore che può così apprezzare le complessità degli altri strumenti come i bongos, l’assortimento degli shaker, trilli di armonica e George che aggiunge suoni diversi se non altro per far ricordare a chi ascolta, che lui è quello di sempre: un innovatore!
You can’t Miss predilige ancora un ostinato di basso e batteria, ma l’intreccio delle voci attira l’ascoltatore che viene proiettato ad una vera e propria festa in stile Funk dove in una stanza può trovare la voce di Gary Shider, in un’altra quella di George, in un’altra ancora quella dei coristi; il tutto in un continuo cambio di registro.
La bellissima e politicizzata March to the Witch’s Castle è un inno contro la guerra una preghiera per quelli che nel ’73 rientrarono negli States e che non avevano ancora capito per cosa o contro chi, avessero combattuto. La voce di George sembra quella di un predicatore, il testo ha toni molto forti; essi stabiliscono la linea dura della band nei confronti dei temi più controversi dell’epoca: il Vietnam e la lotta contro la cosiddetta Polluting Enterprises (aziende inquinanti).
Una frase di gtr insistente in Mi minore, accompagna il racconto e la ripetizione continua viene interrotta da quel quarto grado minore tanto amato dalla Psichedelia; i cori e soprattutto l’incantevole falsetto di sottofondo potrebbero ricordare all’ascoltatore più accurato, un brano famosissimo dei Pink Floyd.
Let’s Make it Last conclude la prima facciata dell’album. Una canzone un po’ a se stante rispetto al resto, ma quanti gruppi Rock successivamente hanno utilizzato la progressione che troviamo nell’intro del brano! Di gran valore la voce di Gary Shider e dei suoi falsetti e l’insistente wah-wah di Eddie Hazel.
Cosmic Slop apre il lato B. I suoni provenienti da un altro pianeta, cori, chitarre, voci soliste armonizzate, fanno da “sottofondo” ad un unisono tra basso e gtr e dal precisissimo timing della batteria, i bongos costruiscono ritmiche al di sopra della band: insomma un pezzo COSMICO!
No Compute: un brano in stile gospel, armonie semplicemente perfette e una voce che potrebbe ispirare the Joker, racconta il risveglio da un sogno “bagnato”. Come a dire: “All looks are not alike, all holes are not a crack”.
Si prosegue con This Broken Heart: una bellissima ballad, dove le voci e gli strings, avvolgono le note meravigliose e ricercate della melodia. In questo brano possiamo ascoltare influenze di tutta la musica degli anni ’60, a cui la band era particolarmente legata.
Trash a Go Go riprende le influenze un po’ Hendrixiane della band. D’altra parte, arrivati a questo punto, chi ascolta si è reso conto che la forza di questo collettivo di musicisti, parte dal groove e si sviluppa attraverso voci e arrangiamenti sempre molto ricercati ma sempre orecchiabili.
L’ultima traccia di questa meraviglia sonora è Can’t Stand the Strain. Anch’essa per l’ascoltatore attento, è un richiamo ad una celeberrima progressione armonica di uno dei più grandi gruppi Southern Rock. Il brano è molto fresco e di facile ascolto con un outro strepitoso.
Un disco da ballare o da ascoltare comodamente in relax sul divano; in ogni caso gli amanti della fantascienza saranno proiettati al di fuori della via lattea! Con questo album, raggiungerete altre galassie!!! Provare per credere.